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Come e quanto rileva l’incapacità naturale del testatore nella redazione del testamento e nella sua validità?
In tema di incapacità naturale del testatore, se non viene accertata un’assenza assoluta della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi, il testamento è valido (Cass. 12691/17).
In tema di annullamento per incapacità naturale del testatore è indispensabile l’accertamento di un’assenza assoluta, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi a causa di un’infermità transitoria o permanente.
Il caso concerneva la seguente vicenda: la Corte d’appello di Genova, in riforma della sentenza del Tribunale di Massa, respingeva la domanda di Mevio di annullamento del testamento olografo del 17.09.1995 della de cuius Tizia.
I giudici del gravame avevano disposto nuova ctu medico legale per l’accertamento della capacità di intendere e di volere della testatrice al momento del confezionamento della scheda testamentaria e concludevano per la mancanza di prova dell’incapacità di intendere e di volere al momento della redazione delle ultime volontà, essendo peraltro corrispondenti le disposizioni scritte con la volontà espressa più volte dalla defunta, in tempi non sospetti, quando ella godeva di buona salute.
Mevio ricorreva per cassazione con due motivi nei confronti di Caia, che resisteva con controricorso.
La cassazione, con ciò ribadendo un consolidato orientamento, sostiene che l’incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius ma la dimostrazione rigorosa che, per causa di un’infermità, transitoria o permanente, egli sia stato privato in modo assoluto, nel momento in cui si trovava a confezionare il testamento, della lucida coscienza dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi.
Lo stato di capacità è la regola, quello di incapacità è l’eccezione, per cui spetta a chi impugni un testamento la prova della dedotta incapacità, salvo che il testatore soffra un’incapacità totale e permanente, per cui sarà colui il quale intenda giovarsi del testamento, secondo la Corte Suprema, a dover provare che vi fu un lucido intervallo nel momento della redazione (Cass. 27351/14).
Inoltre, al fine di comprendere se la capacità di intendere e di volere in capo al de cuius vi fosse o meno, il giudice dovrà considerare attentamente quali fossero le volontà contenute nel testamento in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle disposizioni (Cass. 230/11).
Nel caso in esame, il contenuto del testamento, secondo la curia genovese, era ben lungi dall’avere un contenuto illogico ed incongruo, risultando conforme ai sentimenti palesati in vita dalla de cuius Tizia, la quale più e più volte aveva manifestato il volere di lasciare la sua porzione di immobile all’amica Caia.
Inoltre, la ctu espletata in sede di gravame aveva evidenziato come l’unico documento clinico in epoca prossima al testamento, costituito da un referto della consulenza psichiatrica ospedaliera, non evidenziava affatto la presenza di gravi sintomi psichiatrici, quali alterazioni della coscienza, della memoria o disturbi del linguaggio o del pensiero.
Infine, i testi Romolo e Remo, il primo medico specialista in psichiatria che curava Tizia, il secondo suo vicino di casa, avevano riferito che ella godeva per lunghi periodi di tempo, alternati a brevi periodi di depressione, di buona salute psichica, fermo restando che il disturbo bipolare da cui era affetta, come sostenuto dal ctu, non era affatto idoneo a minare in via assoluta l’incapacità di intendere e di volere.
Il ricorso per cassazione veniva quindi rigettato.

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