Risarcimento del danno per condotta negligente e imperizia dei sanitari

In tema di risarcimento del danno per condotta negligente e imperizia dei sanitari

La Corte di Cassazione (Cass., III Sez. Civ., ordinanza 30 novembre 2018, n. 30999) si è
pronunciata di recente in materia di responsabilità sanitaria, in un caso di richiesta di
risarcimento del danno nei confronti di una struttura ospedaliera, avanzata dagli eredi di
un uomo deceduto a seguito delle conseguenze della rottura di un aneurisma cerebrale.

Nella fattispecie, i parenti convenivano in giudizio i sanitari, l’Asl e l’Assicurazione,
deducendo che il decesso fosse da ascriversi alla condotta negligente e all’imperizia dei
sanitari, i quali avevano sottovalutato i sintomi accusati dal paziente (una forte cefalea
ed uno svenimento), dimettendolo senza ulteriori approfondimenti diagnostici, ma con
semplici indicazioni di terapia farmacologica.

Punto cruciale della vicenda era costituito dal fatto che la complessità del quadro
sintomatico avrebbe dovuto spingere i medici a richiedere ulteriori accertamenti: se da un
lato, infatti, i sintomi con i quali il paziente si era presentato in ospedale non potevano
far presumere con sicurezza l’esistenza di un aneurisma, altrettanto vero è che con la
stessa sicurezza, essa non poteva essere esclusa.

La norma che assume primario rilievo è l’art. 1176 c.c., che impone al debitore di adempiere
con diligenza; nel caso de quo, trattasi però di inadempimento di obbligazioni
professionali, ovvero di danni causati nell’esercizio di attività professionale, il cui
accertamento richiede criteri più rigorosi (art. 1176 c.2 , c.c.).

In tal senso, infatti, il “professionista” è in colpa non solo quando tenga una condotta
difforme da quella che, idealmente, avrebbe tenuto nelle medesime circostanze il bonus pater
familias, ma anche quando abbia tenuto una condotta difforme da quella che avrebbe tenuto,
al suo posto, un professionista “medio”, che secondo la giurisprudenza della Cassazione si
identifica in un professionista serio, efficiente e preparato.

Alla luce di ciò, a fronte a fronte di sintomi aspecifici, in quanto riconducibili
astrattamente a malattie diverse o comunque di difficile interpretazione, il medico non può
attendere il corso degli eventi, ma deve formulare una serie di alternative ipotesi
diagnostiche, verificandone poi una per una la correttezza; oppure segnalare al paziente,
tutti i possibili significati della sintomatologia rilevata.

Diversamente, la condotta del medico che, di fronte a sintomi generici del paziente, non
solo non ha effettuato alcuna indagine per risalire, anche per tentativi, alla causa reale
del malessere del paziente, ma per di più ha taciuto a quest’ultimo, tutti i possibili
significati dei sintomi rilevati, è palesemente difforme dal precetto di cui all’art. 1176,
comma 2, c.c.

Nel caso sottoposto, gli Ermellini hanno pertanto ritenuto che “tiene una condotta colposa
il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici, non prenda scrupolosamente in considerazione
tutti i loro possibili significati, ma senza alcun approfondimento si limiti a far propria
una sola tre le molteplici e non implausibili diagnosi.”

Condividi