Responsabilità medica professionale

La Corte di cassazione nella sentenza n. 23564/2011 – dando seguito al consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità compiutamente espresso nel precedente di Corte cass. SS.UU. n. 577/2008 – ha enunciato il principio di diritto secondo cui “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
Ne segue che la prova liberatoria compete ai convenuti per responsabilità professionale medica soltanto se il danneggiato abbia assolto alla prova: 1 – della esistenza del rapporto contrattuale (o da contato sociale), 2 – dell’evento dannoso (persistenza o aggravamento della patologia preesistente; insorgenza di una nuova patologia prima assente), 3 – della relazione eziologica tra la condotta (commissiva od omissiva) tenuta dai sanitari nella esecuzione della prestazione e l’evento dannoso.

La Corte d’Appello di Trieste, in sede di rinvio, rigettava l’appello proposto da Tizio e Caia, i quali, in nome proprio e in qualità di rappresentanti del figlio minore Sempronio, avevano chiesto in primo grado la condanna al risarcimento dei danni subiti dal figlio colpito da ipossia-anossia neonatale nei confronti dell’Azienda ospedaliera Scaligera e dei medici incaricati ad occuparsi del caso. La Corte d’Appello, alla luce delle risultanze della CTU fornita in primo grado e di cui si era chiesta la rinnovazione, escludeva la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei medici e il danno neurologico subito dal minore; riteneva che gli appellanti non avessero fornito alcuna prova circa la rilevanza che concerneva il mancato rilascio da parte dell’Ospedale della cartella clinica del paziente in originale e che alcuna rilevanza probatoria potesse avere la dichiarazione posta in essere dalla neonatologa circa la circostanza di essere arrivata in ritardo, in quanto resa nella concitazione del momento.
Tizio e Caia proponevano così ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione ricorda che la stessa Corte di legittimità, con la sentenza n. 23564/2011, ha statuito che “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.”
Conseguentemente, il debitore deve assolvere al proprio onere solo nel caso in cui il danneggiato abbia dimostrato l’esistenza del rapporto contrattuale, l’evento dannoso (aggravamento della patologia preesistente o sorgere di una nuova patologia) ed il nesso causale tra la condotta tenuta dai medici circa la corretta esecuzione della prestazione e l’evento dannoso. Grava quindi sul danneggiato l’onere di provare il nesso eziologico tra condotta medica ed il danno subito dal paziente sulla base di leggi scientifiche e/o criteri fondati su presunzioni logiche astrattamente idonee ad accertare la sussistenza della causalità materiale. Se la verifica avrà riscontro positivo, allora spetterà al medico convenuto dimostrare la propria condotta incolpevole e, in seconda battuta, la riferibilità esclusiva dell’evento dannoso a causa estranea e indipendente dalla propria sfera di controllo. Tuttavia, nel caso di specie, secondo quanto statuito dagli Ermellini, non sussisteva in capo ai medici in questione alcun onere dimostrativo, dal momento che le indagini peritali non avevano fatto emergere alcun legame, né in astratto né in concreto, tra la condotta dei medici e il disturbo neurologico da cui era stato colpito il bambino, tale da poter configurare ipotesi di responsabilità ex art. 1218 c.c.
Relativamente alle questioni del rifiuto della consegna dell’originale della cartella clinica del paziente, la Corte ritiene che questi elementi non siano decisivi ai fini della sussistenza della responsabilità in capo ai medici in questione. La valutazione probatoria riguardante tali elementi circostanziali infatti, esaurisce il vincolo posto in essere dalla Corte di Cassazione nei confronti della Corte d’Appello in sede di rinvio. A tal proposito, la Corte ricorda che i poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la Cassazione abbia annullato con rinvio la sentenza impugnata per vizi relativi alla violazione o falsa applicazione di un principio di diritto o, al contrario, per vizi motivazionali. Nel primo caso, il giudice di rinvio è tenuto a uniformarsi al principio di diritto così come enunciato dalla Corte di legittimità mentre, nella seconda ipotesi, il giudice può liberamente valutare i fatti già accertati e indagare a sua volta su altri. In particolare, per quanto riguarda il vizio motivazionale, esso sussiste solo in caso di omessa considerazione da parte del giudice di merito di un fatto storico principale o secondario decisivo ai fini dell’esito della causa, esulando del tutto qualsiasi contestazione relativa all’apprezzamento del giudice di merito circa le fonti di prova. Infine, la Corte reputa che il vizio motivazionale relativo alla CTU di cui era stata richiesta la rinnovazione potesse essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui gli errori contestati venissero a risolversi nell’omesso esame di un “fatto decisivo” per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Il ricorso viene quindi integralmente rigettato.

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