Diritto di famiglia e delle persone

In relazione al recente articolo relativo all’importante sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (18287/18) sull’assegno divorzile, appare utile e necessario tornare sul tema e sul contrasto giurisprudenziale risolto dalla Suprema Corte, le cui implicazioni sono (e saranno) molteplici e non certamente di “pronta” e semplice risoluzione.

– In tal senso, degna di rilievo è la recentissima sentenza del Trib. di Pavia (17 luglio 2018) pronunciatosi in merito alla richiesta di parte attrice di accertare e dichiarare l’assenza in capo all’ex moglie convenuta dei requisiti necessari per vedersi accordare l’assegno divorzile, ciò in quanto dotata di rilevante patrimonio immobiliare e mobiliare fruttifero.

Il Collegio rileva preliminarmente come la decisione in merito non possa che prendere le mosse proprio dalla fondamentale e recente sentenza delle SS.UU n. 18287/18.

Facendo riferimento, in particolare, ai parametri sanciti dalla Suprema Corte, relativi alla “perdurante situazione di oggettivo squilibrio di genere nell’accesso al lavoro, tanto più se aggravata dall’età» e alla «funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio», il Collegio afferma che tali indici non possano essere intesi nel senso di attribuire all’assegno divorzile il compito di «ovviare alle sperequazioni che esistono nel mercato del lavoro e nel riconoscimento, anche economico, del lavoro extradomestico femminile».

Infatti, di tali disparità, deve tenersi conto solo al fine di valutare in concreto se una ex moglie sia o meno nelle condizioni di poter trovare lavoro post divorzio e una vita matrimoniale nella quale si era dedicata esclusivamente alla famiglia, e ciò per scelta concorde dei coniugi.

–  Ulteriore considerazione posta in rilievo dal Collegio di Pavia, attiene alla difficoltà di formulare una valutazione ex ante relativa alle aspettative professionali ed economiche sacrificate rispetto alla situazione che si crea con il divorzio; trattasi di giudizio prognostico, che comporta una valutazione “come se” un determinato fatto non fosse accaduto e ove l’elemento da eliminare è il matrimonio e non il divorzio, al fine di salvaguardare il principio di solidarietà post-matrimoniale «senza però cadere nel rischio di una visione “criptoindissolubilista” del matrimonio».

Considerata l’estrema difficoltà di un tale giudizio, il Tribunale ha ritenuto che esso sia comunque assolutamente imprescindibile e debba essere pertanto condotto anche sulla base di fatti rientranti nella comune esperienza e di presunzioni semplici ex artt. 115 c.p.c. e 2729 c.c.

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